Alle soglie del Terzo Millennio
SE GUARDO IL CIELO, OPERA DELLE TUE DITA

Di don Graziano Borgonovo



Della Hale Bopp, questa bellissima e così luminosa stella che ha ricevuto il nome da due astronomi dilettanti americani, primi ad averne individuato il passaggio "a ridosso" del nostro pianeta già alcuni anni or sono, ormai non si.parla più. Se ne è andata ed ha perfino portato con sé alcuni che avevano tragicamente equivocato sul potere della sua bellezza, travolti da una delle tante sètte che pullulano alla fine del secondo millennio dell'era cristiana. Il desiderio di infinito dei cuore umano è insopprimibile, ma, se non è sostenuto dall'Infinito stesso, o si ripiega dall'originaria tensione verso il cielo, vagando inquieto tra finiti oggetti terreni, oppure viene identificato con un'immagine che ciascuno da sé si costruisce, conformemente alla propria sensibilità, talvolta alterata proprio dalla pressante inquietudine del vivere. Quale grazia dunque che Dio abbia avuto pietà dell'uomo e sia venuto tra noi!
"Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo" ... Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. AI vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Vangelo secondo Matteo 2, 1-2.9-11).

All'inizio dell'era che da Quel Bambino ha preso il nome, un'altra stella (cometa, proprio come la Hale Bopp, e reale, proprio come quella da tutti con stupore osservata) ha fatto la sua comparsa in prossimità della Terra. Così San Leone Magno commenta l'evento dell'Incarnazione del Verbo di Dio nella liturgia del Natale: le stelle sono scese sulla terra per incontrare e salvare il desiderio errabondo e vagante dell'uomo (cfr. Discorso 23, 111 in Nativitate Domini), evocando con mirabile lucidità la comune radice latina dei due termini sidera, stelle, e desiderium.

Coloro che hanno saputo cogliere l'esperienza umana con più capacità di penetrazione e nel momento in cui essa diventa domanda di senso ultimo (è proprio questo il momento in cui l'esperienza diventa realmente umana, cioè consapevole di sé e della realtà), si sono d'altronde sempre rivolti a contemplare la bellezza del cielo stellato.

"Spesso quand'io ti miro / star così muta in sul deserto piano, / che, in suo giro lontano, al cielo confina; / ovvero con la mia greggia / seguirmi viaggiando a mano a mano; / e quando miro in cielo arder le stelle; / dico fra me pensando: / a che tante facelle? / che fa l'aria infinita, e quel profondo / infinito sereno? che vuol dir questa / solitudine immensa? ed io che sono? / Così meco ragiono ..." (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia).

La stessa identica parola stelle chiude con perfetta simmetria ciascuna delle tre cantiche della Divina Commedia. "Lo duca e io [Dante sta risalendo dai gironi infernali, accompagnato dal poeta latino Virgilio, che gli è stato guida laggiù] per quel cammino ascoso / intrammo a ritornar nel chiaro mondo; / e sanza cura aver d'alcun riposo, / salimmo sù, el primo e io secondo, / tanto ch'io vidi de le cose belle / che porta 'I ciel, per un pertugio tondo. / E quindi uscimmo a riveder le stelle" (Inferno, XXXIV, 133-139). Poi, come sollevato e purificato dalla peregrinazione nel Purgatorio, "io [è sempre Dante che parla in prima persona] ritornai da la santissima onda /rifatto sì come piante novelle rinoveliate di novella fronda, / puro disposto a salire a le stelle" (Purgato rio, XXXIII, 142-145), fino al culmine in cui il "disio" (il desiderio), ormai sottratto dai vincoli delle soddisfazioni apparenti, è totalmente assunto dallo Stesso che l'aveva all'inizio suscitato, Dio, "l'amor che move il sole e l'altre stelle" (Paradiso, XXXIII, 143 145 Anche San Tommaso d'Aquino, "Dottore comune" della Chiesa, nc aveva esitato a parlare, in molti passaggi della sua Somma Teologica, d "desiderio naturale di vedere Dio".

E molto tempo prima che Immanuel Kant si sorprendesse con l'animo pieno "di ammirazione e di riverenza sempre nuova e crescente" per "il cielo stellato sopra di me e la lego morale dentro di me" (Critica dei Ragion pura, conclusione), la sapienza d'Israele aveva formulato, con accenti lirici insuperabili, lo stupore dell'uomo di fronte al cosmo e la domai da fondamentale per dirla in termini pascaliani relativa alla propria grandezza e miseria: "Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, / la luna e stelle che tu hai fissate, / che cosa l'uomo perché te ne ricordi / e il figlio dell'uomo perché te ne curi? / Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, / gloria e di onore lo hai coronato: / hai dato potere sulle opere delle tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi ..." (Salmo 8, 4-7).

Vale la pena ascoltare, infine, per non credere erroneamente che tutto ciò riduca a sogno poetico di qualche si rito poco avvezzo alle asperità del vita o estraneo all'esigenza di una spiegazione scientifica della realtà, testimonianza di uno dei padri dell'astronomia moderna, Isaac Newton (1642-1727), le cui pagine sono sovente motivo di comprensibile imbarazzo per alcuni epistemologi contemporanei, esponenti del più radicale e vetusto laicismo. "Questo estremamente meraviglioso sistema del Sole, dei pianeti e delle comete potette solo originarsi dal progetto e dalla potenza di un Essere intelligente e potente. E se le stelle fisse sono centri di altri analoghi sistemi, tutti questi, dato che sono stati formati dall'identico progetto, debbono essere soggetti al dominio dell'Uno; soprattutto dal momento che la luce delle stelle fisse è della medesima natura della luce del Sole e che la luce passa da ogni sistema a tutti gli altri sistemi: e perché i sistemi delle stelle fisse non cadano a motivo della loro gravità, gli uni sugli altri, Egli pose questi sistemi a distanza immensa tra di loro" (Principi matematici della filosofia naturale, opera del 1687, Scholium generale).

Anche nell'eventualità in cui l'ipotesi scientifica del big bang (a tutt'oggi ancora da dimostrarsi appieno, per quanto risulti accreditata tra gli specialisti) corrisponda effettivamente al modo di sviluppo dell'universo, ne avremmo soltanto che, analogamente all'essere umano, perfino l'universo possiede un "embrione" cui deve essere fatta risalire la sua origine. Ma "è del tutto irrilevante appurare se l'uomo derivi o non dalla scimmia; se la vita organica sia sorta o non spontaneamente dalla materia inorganica; se il sistema solare tragga o non la sua origine da una nebulosa iniziale; se la vicenda cosmica abbia il suo avvio nel big bang, cioè in una primordiale esplosione. Questi sono problemi di natura scientifica e sono di grande interesse per i cultori di biologia, di paleontologia, di astrofisica e di chi sa quante altre bellissime discipline ... Quali che siano i processi intervenuti nella mia preistoria, ciò che conta è sapere se essi sono stati casuali o voluti: questa è la sola questione che meriti di essere considerata dall'uomo indipendentemente dalla sua collocazione culturale" (G. Biffi, La bella, la bestia e il cavaliere. Saggio di teologia inattuale, Milano 1984, p. 46). Si tratta di un'alternativa senza soluzioni intermedie, di un vero e proprio "dilemma", urgente per ciascuno: o all'inizio c'è il caso (e allora non si capisce perché poi ci sia l'intelligenza che spinge ad interrogarsi perfino sulle stelle e perché la vita debba essere sorretta da regole, tutte irrimediabilmente convenzionali), oppure c'è un progetto, un disegno buono (e allora l'incontro con la verità desiderata diventa, se Dio lo vuole, possibile). L'illuminismo settecentesco ha dogmaticamente decretato che tra ragione e fede si dia necessaria contraddizione. L'esperienza reale dell'essere umano, così come la considerazione della sua capacità conoscitiva nella totalità dei fattori che la costituiscono, ci sembra proprio testimonino il contrario. Perché, per dirla col già evocato Blaise Pascal (Pensieri, n. 823), "la più grande delle verità cristiane è l'amore della verità", in tutte le sue forme e ovunque si manifesti. Ma proprio questa è la pretesa sconvolgente del cristianesimo: che in Quel Bambino, sopra la cui grotta 2000 anni fa una stella si è fermata riempiendo di gioia alcuni personaggi misteriosi venuti dall'oriente, si sia fatto uomo Dio, la Verità ultima delle cose (cfr. Vangelo secondo Giovanni 1,14). Per salvare il desiderio vagabondo dell'uomo vagabondo; per offrirgli, al di là di ogni prevedibile attesa, una forma inaudita dì compimento.